Lo spirito della fantascienza – la parola “fantascienza” non sarebbe piaciuta a Borges perché la fantascienza non esiste – è per il lettore di Bolaño l’equivalente del big bang per il pianeta Terra, il brodo primordiale dal quale hanno preso le mosse gli eventi e i personaggi, alcuni intuibili, altri meno, che alimentano i libri del primo universo Bolaño.
(Il multiverso, ovvero 2666, è tale proprio in virtù delle differenze col primo).
Lo spirito della fantascienza è un regalo immenso.
“Tutto è pieno di dèi” diceva Talete. E anche qui, nel libro del giovane Bolaño, tutto è pieno di dèi. Dèi che in alcuni casi cominciano a dettare la propria mitologia e che in altri casi lasciano soltanto una eco del loro culto.
Per esempio. Il parterre dei protagonisti rivela che i prodromi erano tre e non due.
Arturo Belano e Ulises Lima sono l’evoluzione ortodossa di una trinità pagana formata da Jan Schrella, Remo l’io narrante e José Arco?
E le gemelle Torrente? E la sdentata Estrellita? Loro sì: sono i primi contorni di personaggi con cui abbiamo familiarità e che agevolano l’orientamento.
E anche la ricerca. La ricerca come azione e la ricerca come allegoria della lettura. Quella originaria aveva come oggetto riviste sconosciute, direttori di fogli ciclostilati o fotocopiati, verticalità estreme, nicchie evanescenti. Non scrittori. La ricerca degli scrittori è una ricerca trasposta?
Per non parlare dei detective. Anzi, del singolo detective. José Arco è il primo detective, l’archetipo del detective oppure il santo patrono dei detective. Il primo detective guida moto Honda e si preoccupa del sostentamento del gruppo.
E il dottor Ireneo Carvajal, anello di congiunzione tra ricercatori e ricercati, è il germoglio di quel Amadeo Salvatierra a cui piace bere mezcal Los Suicidas?
Non lo so. Mi sembra che in un gioco di armonie questo Lo spirito della fantascienza possa essere per I detective selvaggi e, più in generale, data la centralità de I detective selvaggi, per l’opera di Roberto Bolaño, quello che I dispiaceri del vero poliziotto è per 2666.
Ovvero una mitologia.
Un insieme di narrazioni che considerano l’origine del mondo e l’origine dell’uomo. Le trascrizioni di alcune tradizioni orali. Una mitologia, quella di Bolaño, radicata nel mondo sensibile, intellettuale e addirittura letterario. Una mitologia colma di scrittori veri ma tesa alla ricerca di scrittori quantomeno assenti o prescindibili, laddove non falsi.
Quando ce ne andiamo, disse il mio amico, ti racconterò la storia più bella che si è inventato il Mofles.
Quale?
La storia che spiega come ha fatto Georges Perec da bambino a evitare il duello all’ultimo sangue fra Isidore Isou e Altagor in un quartiere sperduto di Parigi.
Preferirei leggerla.
Non è scritta, è una storia orale.
P.S.: Mofles tvb.
P.P.S: Ci tengo a dire che Lo spirito della fantascienza è un libro enorme se ti piace leggere Roberto Bolaño. Quando dico libro enorme intendo dire il miglior libro possibile. E quando dico il miglior libro possibile intendo dire che deve essere messo in relazione all’opera di Bolaño perché è così che si legge o si indaga Bolaño. O perlomeno è così che lui avrebbe voluto essere letto o indagato. Dal mio punto di vista: slegare questo libro dal resto dell’opera in prosa di Bolaño non ha alcun senso.