Eravamo dalle parti di Facebook, ai limiti del decoro, quando è successa una roba stimolante*.
Si discuteva di racconti con gli amici del Cr@pula Club.
Discutere di racconti mi piace.
[Paolo Rónald Iglesias Montero, celeste come Juan Carlos Onetti e come Felisberto Hernández, una volta ha detto: Non porto rancore ma non dimentico.Paolo Rónald Iglesias Montero si riferiva ai tifosi dell’Atalanta che dopo il suo passaggio alla Juventus l’avevano fischiato, criticato, probabilmente insultato ma tant’è, insomma, c’è di peggio.
El Pigna torna utile per dire che oggi si parla di racconti e ieri quando chiedevi una raccolta di racconti in libreria c’era chi faceva spallucce e c’era chi scuoteva la testa.
In giro c’era chi scuoteva la testa se dicevi Raymond Carver.
Il tweet che assurge al ruolo di spiegone suonava più o meno così: il Nobel sdogana.
Sdoganare: rendere socialmente accettabile un comportamento precedentemente condannato.
Ecco perché oggi diciamo Grazie, Alice Munro.]
Dicevamo.
Discutere di racconti mi piace.
Nella (bella) social disamina, che verteva sulla forma del racconto, qualcuno ha librato la domanda quella grossa: Come definire un racconto?
Se lo chiedi a me, per esempio, con una scusa vado in bagno.
Le micronarrazioni di Augusto Monterroso sono racconti? Gli Addii di Juan Carlos Onetti è un racconto lungo oppure è un romanzo breve oppure è un raccomanzo oppure è un romacconto? Libri come Storie di cronopios e di famas o Un certo Lucas di Julio Cortázar che cosa sono?
Félix Fénéon è stato un giornalista francese che agli inizi del novecento scriveva “romanzi in tre righe” e ne ha scritti oltre mille, ciascuno di tre righe, Adelphi ne ha fatto un libricino, l’ho letto l’estate scorsa. Questo libro non dovrebbe forse intitolarsi “Racconti in tre righe”?
Un racconto resta racconto se non raggiunge una determinata soglia di battute? Altrimenti diventa un romanzo? Un racconto resta racconto se non caratterizza eccessivamente i personaggi? Altrimenti diventa un romanzo? Un racconto resta racconto se non presenta intrecci ma, al contrario, un unico accadimento chiaro, un unico accadimento inequivocabile? Un racconto resta racconto se rispetta una certa architettura, se risponde ad alcuni tecnicismi, se esaurisce il proprio moto su sé stesso?
Cortázar diceva che il racconto è una sfera mentre il romanzo è un poliedro.
Tabucchi diceva che il racconto è un appartamento in affitto mentre il romanzo è una casa di proprietà.
Quiroga ci ha lasciato in eredità il decalogo del perfetto scrittore di racconti.
Bolaño diceva che i romanzi altro non sono che mosaici di racconti (ma Bolaño di cose ne ha dette tante).
Come definire un racconto?
Scusate, mi scappa la pipì.
Sapete cosa: continuerò a leggere e rileggere Le rovine circolari di Borges come I detective selvaggi di Bolaño; Cent’anni di solitudine di Márquez come Il dinosauro di Monterroso; Il balcone di Hernández come Pedro Páramo di Rulfo.
E sapete un’altra cosa: Paolo Rónald Iglesias Montero era un tipo tosto.
* Parafraṡare l’incipit di Paura e disgusto a Las Vegas, di Hunter Stockton Thompson, uno dei libri più fighi del mondo, mi fa stare molto bene.
Ne penzo bene. Nella narrativa sono tempi buoni per i racconti, e, se non sto interpretando male il perché di un fenomeno di cui credo di percepire i contorni più eloquenti, gli anni a venire lo saranno ancora di più. Voglio impegnarmi a capire bene da cosa deriva questo supposto percorso. Vedrò.
Quanto agli autori da te citati, una volta di più mi viene da chiedermi come mai io sia un lettore (tosto, direi) così anomalo: alla folgorazione che mi ha procurato RAYUELA, e altri lavori del suo autore, fin qui non ha fatto seguito un sincero interesse per Borges. L’ALEPH mi ha fatto sentire un estraneo ai suoi temi, ai suoi stilemi. Perché? Non lo so… o forse lo immagino, chissà. La faccenda comunque mi lascia insoddisfatto. E con ogni probabilità voi fate fatica a capirmi. Così come restano di sicuro perplessi i comuni amici di CrapulaClub, credo.
So di essere abbastanza preso dalla letteratura statunitense sin dai tempi di Hemingway, che con i suoi 49 RACCONTI mi ha fatto prigioniero. Così come la descrizione della ” ritirata di Caporetto” da ADDIO ALLE ARMI. Per non citare scritti di altri letterati Usa.
Non credo che l’aver lavorato per 32 anni in un business group american-international (il più gande del mondo, nel suo campo), con intense frequentazioni all’estero mi abbia influenzato… anche perché non mi è mai parso che la cultura letteraria seria, cioè non commerciale, da certe parti viaggi alla grande. Ma tutto può essere.
Adesso però non voglio annoiarvi più di tanto. Mi limito a sfidarvi a scrivere un po’ di DFW. Non ne vale la pena, forse?
A mia parziale discolpa ammetto che leggo con interesse Vila-Matas e Bolano (mi manca l’accento).
In definitiva, c’è materia per tornarci sopra. Su tutto quanto ho detto sopra, intendo.
Cari saluti.
Enrico
tutti in bagno a pisciare (a rifletterci e fumare)
Ciao Alfredo, tanto per stare in tema (ma non c’entra una mazza) Wallace dice che ogni volta che lo definiscono postmodernista gli scappa di andare al bagno. Misteri delle umane lettere!
Grazie Enrico, è sempre un piacere. Purtroppo, conosco troppo poco e male DFW per scriverne con cognizione-di-causa. Mi pare di capire, però, che un minimo comun denominatore l’abbiamo trovato: quando scappa, scappa. Un abbraccio.
E lo chiami”minimo comun denominatore” il Nostro Julio? E’ un grande, comune punto di riferimento.
Certo, Wallace l’ho nel sangue. Magari un giorno ne parliamo. Cari saluti.